Ancora una volta ci ritroviamo a discutere su un’opinabile presa di posizione del mondo cattolico. Non passa giorno oramai senza che gli organi di stampa, più o meno ufficiali, della Chiesa, non scatenino polemiche e discussioni, con successive e poco credibili precisazioni da parte delle gerarchie ecclesiastiche, della serie “…non rappresenta il pensiero ufficiale del Vaticano”.
Questa volta è il turno dell’Osservatore Romano, quotidiano ufficiale del Vaticano. In un editoriale pubblicato ieri in prima pagina a firma di Lucetta Scaraffia, membro del Comitato nazionale di bioetica e vice presidente dell´Associazione Scienza e vita, si sostiene che la dichiarazione di morte cerebrale non è più sufficiente per sancire la fine della vita.
Una maldestra spallata a 40 anni di certezze scientifiche. Nel 1968 uno storico documento della Harvard Medical School individuò nella morte cerebrale l’unico criterio utile per accertare la cessazione della vita; il cosiddetto Rapporto di Harvard tracciò le linee guida di un cambiamento rivoluzionario nel mondo scientifico: l’encefalogramma piatto e non più l’arresto cardiocircolatorio quale indicatore per la definizione di morte. Una svolta epocale dunque, che ha reso possibile il trapianto degli organi, garantendo, in questo modo, la possibilità di salvare migliaia di vite umane. La Chiesa cattolica, come ricorda la Scaraffia nel suo articolo, accettò la nuova definizione fornita dalla scienza e si dichiarò favorevole al prelievo degli organi da pazienti cerebralmente morti.
Ma queste “certezze”, oggi non sarebbero più tali. A quaranta anni di distanza dal documento di Harvard, nuove ricerche non meglio specificate, si legge nell’editoriale, “mettono in dubbio proprio il fatto che la morte del cervello provochi la disintegrazione del corpo”. E le presunte nuove scoperte, implicano, secondo il quotidiano del Vaticano, la necessità di rivedere la validità dei criteri utilizzati per sancire la fine della vita, in quanto “l’idea che la persona umana cessi di esistere quando il cervello non funziona più, mentre il suo organismo, grazie alla respirazione artificiale, è mantenuto in vita, comporta una identificazione della persona con le sole attività cerebrali, e questo entra in contraddizione con il concetto di persona secondo la dottrina cattolica, e quindi con le direttive della Chiesa nei confronti dei casi di coma persistente”.
L’affondo dell’Osservatore Romano non si ferma qui, arrivando ad avvalorare i dubbi di quanti credevano che “la nuova definizione di morte, più che da un reale avanzamento scientifico, fosse stata motivata dall’interesse, cioè dalla necessità di organi da trapiantare”. Il tutto condito dall’immancabile citazione del cardinale Ratzinger che, nel corso di un concistoro straordinario nel 1991, parlando delle minacce alla vita umana, paventò l’apocalittico scenario in cui “quelli che la malattia o un incidente faranno cadere in un coma irreversibile, saranno spesso messi a morte per rispondere alle domande di trapianti d’organo o serviranno, anch´essi, alla sperimentazione medica”.
Com’era ampiamente prevedibile, la reazione del mondo scientifico non si è fatta attendere. L’Associazione anestesisti-rianimatori ospedalieri italiani, ha alzato la voce, e attraverso il presidente Vincenzo Carpino, ha affermato che la morte cerebrale “resta al momento l´unico criterio valido, in mancanza di nuove evidenze scientifiche, per definire la morte di un individuo”. Inoltre, sostiene Carpino, grazie ad una serie di accertamenti molto rigidi, “la legge italiana che stabilisce i criteri per l´accertamento della morte cerebrale è una delle migliori al mondo”.
Gli fa eco Alessandro Nanni Costa, presidente del Centro nazionale trapianti, il quale difende i criteri di Harvard che “non sono mai stati messi in discussione in 40 anni dalla comunità scientifica, e vengono applicati in tutti i Paesi scientificamente avanzati. I dubbi ci sono sempre stati, ma da parte di frange minoritarie che fanno critiche non scientifiche”. Esiste una differenza sostanziale tra la morte cerebrale e lo stato vegetativo e se ciò non bastasse, la scienza, ricorda Nanni Costa, considera un uomo vivo, “quando è vivo e funzionante il suo cervello”.
Non tutti, però, concordano sulle posizioni finora espresse dalla comunità scientifica italiana. C’è anche chi, come Giancarlo Umani Ronchi, ordinario di medicina legale alla Sapienza di Roma e membro del Comitato nazionale di bioetica, non nasconde le proprie perplessità sui criteri di accertamento della morte cerebrale stabiliti 40 anni fa.
Dopo tutte le campagne di sensibilizzazione a favore della donazione degli organi, risulta evidente a tutti, il rischio connesso con quanto affermato nell’editoriale dell’Osservatore Romano. Grazie ai criteri di Harvard, recepiti in Italia da una legge del 1978, successivamente riconfermata nel 1993, sono stati eseguiti nel nostro Paese, più di 50.000 trapianti, di cui 25.000 solo negli ultimi dieci anni.
Difficile, dunque, non concordare con le affermazioni del senatore Pd e chirurgo dei trapianti Ignazio Marino: “E´ estremamente pericoloso far sorgere il dubbio che un individuo in stato di morte cerebrale non sia morto. Ciò determinerebbe un arresto delle donazioni di organi, del tutto ingiustificato scientificamente”.
La domanda a questo punto è un’altra: qual è il vero obiettivo dell’articolo di Lucetta Scaraffia? La risposta più plausibile e più dura, sembra trovarsi nelle parole del presidente della Consulta, Maurizio Mori; interpellato in merito al pezzo apparso sul giornale del Vaticano, Mori, senza parafrasare, riesce a focalizzare il reale fulcro del problema: “Sulle questioni di fine vita, la Chiesa non è più in grado di dare risposte ai nuovi problemi e diffonde inutile panico. Non sapendo più come gestire le nuove tecniche e trovandosi in serissime difficoltà sul caso Englaro, preferisce gettare discredito su tutte le nuove tecnologie, venendo anche a rimettere in discussione i trapianti d´organo. L´obiettivo è chiaro: bloccare il caso Englaro e fissare barriere alla legge sul testamento biologico che sarà tanto restrittiva da essere inutilizzabile”.
La Redazione.
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